
L’8 dicembre del 2020 ASGI ha depositato un intervento terzo a supporto del caso S.B. e altri contro Croazia davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il fatto si riferisce a tre respingimenti che hanno avuto luogo al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina.
Nel mese di ottobre del 2018, nel pieno di una crisi umanitaria dovuta alle carenze del sistema di accoglienza e di asilo della Bosnia Erzegovina, tre cittadini di nazionalità siriana – uno dei quali minorenne – tentarono in diverse occasioni insieme ad altre persone di attraversare irregolarmente il confine croato. Le loro speranze di raggiungere il territorio dell’Unione Europea si infransero già all’attraversamento della prima frontiera esterna dell’Unione: le forze di polizia croate fermarono le persone coinvolte e le costrinsero – attraverso il ricorso a misure di estrema violenza – a tornare in Bosnia senza garantire loro il diritto di manifestare la volontà di domandare protezione internazionale e senza ottenere una valutazione individuale delle loro situazione. Dopo aver fatto altri tentativi ed essere riusciti a fare ingresso nel territorio dell’Unione Europea, con l’assistenza dello European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), hanno adito la Corte Europea dei diritti dell’uomo per far valere la violazione di diversi diritti fondamentali enunciati dalla CEDU (S.B. vs Croazia – A.A. vs Croazia – A.B. vs Croazia). In particolare, nel ricorso sono stati fatti valere diversi profili di illegittimità: la mancata valutazione dei rischi ai quali i ricorrenti sono stati esposti a causa del respingimento in Bosnia in ragione delle condizioni di di accoglienza e degli ostacoli nell’accesso alla procedura di asilo (art 3 CEDU), il respingimento collettivo senza valutazione individuale (art. 4 prot. n. 4 CEDU) e, da ultimo, l’aver effettuato il respingimento senza garantire l’accesso a procedure giurisdizionali e a strumenti di impugnazione (art. 13 CEDU). A seguito di richiesta specifica, ASGI veniva ammessa a presentare un intervento terzo in supporto dei ricorrenti (art. 44 par. 3a del Regolamento della Corte Europea dei diritti dell’Uomo).[1] I soci Asgi coinvolti, con il prezioso supporto di collaboratori esterni hanno concentrato la propria analisi su due profili di illegittimità: la violazione dell’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti) a seguito del respingimento in relazione alla mancata valutazione delle condizioni di accoglienza in Bosnia e alle note difficoltà di accesso alla protezione internazionale e la violazione dell’art. 3, 13 e 4 prot. 4 CEDU in relazione al comportamento delle autorità di polizia croata e alla prassi di distruggere gli effetti personali, denudare i migranti sottoponendoli a trattamenti compatibili con profili di tortura e pregiudicando possibilità di ricorso e dimostrazione di quanto avvenuto in fase di respingimento.
Per quanto attiene al primo profilo la disamina si concentra sull’analisi delle condizioni di fatto del sistema di accoglienza bosniaco: un sistema in completo affanno anche all’epoca dei fatti e assolutamente inadatto a tutelare l’incolumità e la dignità delle persone accolte. Nell’intervento viene descritta l’ inadeguatezza cronica del sistema evidenziando le carenze generali del sistema e in particolare di mezzi di tutela per i minori stranieri non accompagnati. Il secondo aspetto analizzato sempre relativamente al primo motivo di violazione riguarda le difficoltà di accesso alla domanda di protezione internazionale; il sistema bosniaco prevede infatti che affinché una domanda di protezione internazionale possa essere registrata tale iscrizione sia vincolata alla disponibilità di un domicilio riconosciuto. Tale requisito escludeva (ed esclude anche oggi) una buona parte dei richiedenti asilo presenti nel cantone di Una Sana anche in ragione del fatto che molti centri ufficiali non venivano considerati come luoghi idonei al fine del rilascio di una certificazione di domicilio utile alla presentazione della domanda. La carenza sistemica di posti di accoglienza, l’ampia diffusione di soluzioni informali di riparo e la frammentazione normativa federale hanno privato di fatto l’accesso alla protezione. La criticità di tale situazione (come testimoniato da diversi rapporti allegati all’intervento terzo) non poteva essere ignorata e non tenuta in considerazione dalle autorità croate ai fini del respingimento, a maggior ragione se riferito a minori stranieri non accompagnati. Preziosi ai fini degli approfondimenti si sono rivelati i due sopralluoghi condotti da alcuni soci ASGI nell’ottobre 2019 e gennaio 2020 in Bosnia, oltre alla collaborazione di IPSIA ACLI e del Border Violence Monitoring Network.
Il secondo profilo di violazione dell’art. 3 CEDU riguarda il comportamento adottato dalle autorità croate nell’esecuzione delle procedure di respingimento. Diversi rapporti internazionali evidenziano la diffusa prassi adottata dalle autorità croate di distruggere beni personali (cellulari, documenti, passaporti, caricatori) e di costringere le persone a denudarsi, bruciando abiti o scarpe. Il Border Violence Monitoring Network ha raccolto numerosissime testimonianze che confermano questi comportamenti. Risulta evidente che tali condotte messe in atto in una fase emotivamente così delicata per lo straniero vengano necessariamente percepiti come comportamente umilianti e poco rispettosi della dignità degli interessati anche perché messi in pratica al solo fine di impartire sofferenze e disagio emotivo. Altra violazione contestata è quella relativa alla correlazione che tali condotte determinano sull’impossibilità di avere accesso ad un ricorso effettivo. Oltre alla sistematica omissione della produzione di provvedimenti da parte delle autorità, la distruzione di altri documenti e il sequestro dei telefoni comprime sensibilmente le possibilità di dimostrare la presenza degli interessati nei luoghi dai quali vengono allontanati, la possibilità di produrre evidenze (video o foto) e, ad allontanamento avvenuto, la possibilità di mettersi in contatto con soggetti che possano attivarsi per far valere i loro diritti. In questo senso la violazione dell’art. 13 CEDU appare certamente ipotizzabile. Da ultimo l’intervento contesta la violazione dell’articolo 4 prot. 4 CEDU sulla base della numerosa documentazione prodotta da diverse organizzazioni internazionali evidenziando come la prassi di distruggere beni personali e documenti sia un indice della collettività delle espulsione dal momento che tale condotta limita il rischio che, approfittando del numero elevato di soggetti coinvolti, qualcuno possa approfittarne per conservare elementi di prova o crearne di nuovi in una operazione sicuramente più caotica e meno controllata.
[1] Sono state altresì ammesse come terze parti l’associazione Centro per la Pace di Zagabria (C.M.S) e il Commissariato per i diritti umani del Consiglio di Stato con i quali si sono concordate strategie di azione parzialmente differenti.